Resto in uno stato di torpore nonostante mi alzi e mi vesta, nonostante la colazione e finché prendo l’ascensore. Di solito mi sveglio completamente quando prendo l’autobus. Tutto quel vociare, gli scossoni nelle curve, le frenate brusche. E poi scendere a Di Negro, attraversare la strada, aspettare e risalire su un altro autobus.
Questo è quello che di solito accende il mio cervello che si mette a pensare vorticosamente alle cose da fare nel corso della giornata.
Oggi quando sono salita in autobus e il mio cervello ha iniziato a pensare mi sono sentita un pugno nello stomaco. Improvvisamente, mi ha colpito con una forza inaudita.
La voce di mio padre che due giorni fa mi ha detto con il tono di chi è chiaramente sulle spine
Ele sai.. Il tuo prof di Filosofia... Ecco…non c’è più.
L’abbiamo deriso e un po’ imbrogliato al Liceo. Ci siamo lamentati delle sue interrogazioni, dei parametri di giudizio, dei compiti che assegnava. Scherzavamo sui suoi atteggiamenti bonaccioni, sull’aria da “filosofo” , sulla sua passione per le tavole sinottiche.
Però in fondo mi ha fatto compagnia per tre anni, mi ha accolto il giorno dell’orale di maturità, è uscito appena la commissione mi aveva assegnato un voto per dirmi che ero stata brava.
E anche se non ho versato una lacrima due giorni fa, al telefono con mio padre, quando mi sono resa conto che oggi al mio paesello avrebbero fatto il funerale di quell’uomo buono mi sono sentita un nodo in gola.
Poi ho realizzato che è l’11 settembre. Che un sacco di persone sono morte in questo giorno. Tanto altro non sono riuscita a pensare, in questa era mediatica avevo solo immagini nella mente.
Fumo. Macerie e sangue. E un uomo buono, sempre sorridente.
Ciao uomo buono, ciao.
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